Le giornate storte e i momenti no capitano a tutti e prendersela con il mondo può essere una valvola di sfogo. Ma quando lamentarsi diventa uno stile di vita, qualcosa non va. È vero, l’esistenza è spesso ingiusta e dolorosa. Tuttavia, non di rado si finisce per perdere di vista la proporzione delle cose e trasformare i problemi in tragedie.
La lente deformante che porta a vedere se stessi peseguitati dalla sorte e dagli eventi è il vittimismo, un modo di essere e di fare che danneggia la propria vita e quella degli altri. Ma smettere di fare la vittima è possibile. Anzi, è necessario per vivere una esistenza piena e significativa.
La sindrome di Calimero
Quando Nino e Toni Pagot e Ignazio Colnaghi hanno creato Calimero per lo sketch Mira Lanza di Carosello nel 1963, di sicuro non immaginavano che il loro “pulcino nero” sarebbe stato usato per descrivere il comportamento di chi si sente perseguitato da tutto e tutti. E invece, la “sindrome di Calimero” è diventata una definizione del vittimismo patologico. Del resto, una delle frasi più celebri del piccolo pennuto è una sintesi perfetta di questo comportamento:
Eh, che maniere! Qui fanno sempre così, perché loro sono grandi e io sono piccolo e nero… è un’ingiustizia però.
Il vittimista ha un atteggiamento immaturo nei confronti della realtà e tende a considerarsi il centro di un mondo ingiusto e crudele. In altre parole, chi fa la vittima si ritiene speciale in modo negativo, per cui solo a lui o lei capitano cose brutte e i problemi che ha sono i peggiori e i più gravi che esistano.
In questo senso, il vittimismo è la conseguenza di una bassa (se non del tutto assente) autostima, che rende incapaci di affrontare la vita nelle sue piccole e grandi difficoltà e porta a rifugiarsi in un una realtà dove la responsabilità di ciò che non funziona e rende infelici è di forze esterne imprevedibili e ingovernabili.
Questo comportamento permette al vittimista non solo di sgravarsi di ogni onere esistenziale, ma anche di ottenere indulgenza, affetto e protezione. In definitiva, chi si comporta da “Calimero” mette in pratica una distorta strategia di adattamento e sopravvivenza, che fa leva sul senso di accudimento e di colpa di chi gli sta accanto e lo rende un subdolo, pericoloso tiranno di un mondo dove tutti si preoccupano per lui e agiscono nel suo interesse.
Fare la vittima? Fa male!
A prima vista, il vittimismo può sembrare utile e portare dei vantaggi. Ma in realtà è un modo di essere e di fare che ha conseguenze estremamente negative sia su chi lo pratica (in maniera consapevole e inconsapevole) che su chi lo subisce.
La “sindrome di Calimero” è collegata a doppia mandata al “bias della negatività“, ovvero quell’insieme di azioni e reazioni che conduce a focalizzarsi, ricordare ed essere più reattivi nei confronti degli stimoli negativi. In altre parole, il vittimismo è causa e conseguenza di un loop di negatività che si autolimenta e finisce con l’avere effetto (in modo anche grave) sulla salute psicologica. Non di rado, chi si sente perseguitato da tutto e da tutti è ansioso e infelice e prova una sensazione di frustrazione e rabbia che può sfociare in episodi di collera e/o diventare depressione.
Inoltre, alcuni studi hanno rilevato che l’azione di lamentarsi attiva le stesse aree del cervello dove vengono elaborate le soluzioni ai problemi e le sovraccarica e improverisce. Ovvero, il vittimismo compromette la creatività e la capacità di rispondere alle crisi, facendo diventare la visione della realtà ancora più nera.
Ultimo ma non ultimo, i portatori della “sindrome di Calimero” agiscono come vampiri energetici sulle persone che li circondano. I vittimisti risucchiano la forza vitale del partner, dei familiari e degli amici e finiscono per diventare (una volta di più) la causa della propria solitudine e infelicità nel momento in cui le loro “prede” si rendono conto di quello che sta accadendo e prendono le distanze.
Come evitare il vittimismo
È possibile smettere di fare la vittima? La risposta è sì e la strada passa dall’acquisire coscienza di sé. La “sindrome di Calimero” prende forma e si sviluppa a partire da un’autostima scarsa o del tutto assente e per combatterla e vincerla è necessario guardare con onestà dentro di sé, riconoscere i propri punti di forza e debolezza e lavorare per superare i propri limiti e mancanze, a partire dai talenti e dalle competenze che si possiedono.
Il processo che porta a sviluppare fiducia in se stessi è lo stesso che toglie forza alle credenze e ai pensieri depotenzianti che fanno nascere e alimentano il vittimismo e non solo permette di liberarsi dei panni lamentosi di Calimero, ma conduce ad abbracciare la vita nella sua interezza e a imboccare la strada per la felicità.
Nella via verso la “guarigione” dal vittimismo giocano un ruolo chiave anche gli amici e le persone che fanno parte della cerchia di chi si sente perseguitato da tutto e tutti. In questo caso, mettere la “vittima” di fronte alle proprie responsabilità è utile per interrompere il circolo vizioso delle lamentele e aiuta non solo “Calimero”, ma anche chi gli sta intorno e subisce il suo comportamento.
A cura di: Patrizia Saolini
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